I NOSTRI VOLONTARI

ANGELO CULPO IL “NONNO D’AFRICA”Ha piastrellato e pavimentato le chiese di mezza Europa e mezza Africa, in decine e decine di trasferte.


DANIELE E MARIA

Daniele Pieropan e Maria Mistrorigo, pensionati giramondo alla maniera di Francesco.” Daniele Pieropan, artigliere di montagna classe 1934, ministro diocesano dell’Ordine Francescano Secolare di Vicenza, da quando è andato in pensione è diventato un giramondo; poteva stare tranquillamente a fumare la pipa a casa sua, invece, alla sua età, s’è messo in testa di costruire chiese e che le chiese devono avere i loro bei pavimenti e, se occorre, i rivestimenti in piastrelle, siano esser in Africa o in America, non fa differenza, visto che sono stati inventati gli aeroplani. S’è dunque fatto crescere una classica barbetta da missionario, ha messo i ferri del mestiere in una borsa di plastica e via con la moglie! Sembrava una delle tante avventure dei soliti giramondo. Non è così. C’è un motivo ben preciso che spiega tutto ciò, lo si trova nel matrimonio d’amore, dopo esser stati entrambi vedovi, con una famiglia, numerosa che talora preoccupa per gli spazi casalinghi insufficienti.
Ma ecco la sorpresa: la figlia Leda, la più grande, asseconda la chiamata del Signore, lascia la casa paterna e entra tra le suore del Sacro Cuore. È un’altra manifestazione di amore, di generosità, di servizio al Signore e ai fratelli bisognosi. E proprio questa dimensione spirituale sociale la componente tipica della famiglia Pieropan, componente che spiega, quasi fosse una normale quotidianità, l’animo, l’entusiasmo di Daniele e di Maria nell’organizzare gruppi, raccogliere materiale, animare la gente e poi via per terre lontane, come evangelici “buoni samaritani” a manifestare in semplicità, come delle anime generose, di che cosa è capace l’amore, non più contenibile entro le pareti domestiche. Sacrifici e fatiche a non finire, ma anche gioie incontenibili, Gratificazioni innumerevoli, date spontaneamente dalla gente beneficata, non in cose, oggetti, ma in sentimenti. Daniele e Maria hanno saputo valorizzare la propria vita, dare un prezioso significato al loro operare, proprio perché al centro del loro interesse, o meglio delle loro generosità, frutto di amore, hanno messo al loro posto l’uomo, soprattutto quello più povero, più “Cristo”!
Daniele e Maria, con la loro fede e generosità, disponibilità al volontariato, il servizio alla povera gente, ovunque essa si trovi. Si sono sposati, entrambi in seconde nozze, il 18 maggio 1974. Erano presenti i sette figli: cinque di Daniele e due di Maria, testimoni del sacro impegno di amore e di reciproca fedeltà, davanti a Dio. Amore e fedeltà matrimoniale, origine di tante gioie; una figlia religiosa, suor Leda, l’accoglienza della piccola Silvia, orfana di mamma; tredici nipotini. Cominciarono un cammino di fede di coppia che fu coronato da tante soddisfazioni e tanta gioia. Col passare degli anni la crescita spirituale li portò a scoprire il Francescanesimo. Da allora il loro impegno nell’O.F.S. si fece più impegnativo ricoprendo anche carichi importanti.
L’esperienza poi in terra di missione ha fatto capire quanto importante sia il donarsi al prossimo con amore e generosità. Con la partenza del nipote fra Alberto Boschetto nel 1980 per il lebbrosario di Cumura in Guinea Bissau, cominciarono i loro viaggi di lavoro presso le missioni francescane, a quelle Stimmatine in Tanzania, in Sud Africa, in Sierra Leone (con i giuseppini), in Guatemala (con la san Gaetano), in Romania per le suore Campostrine di Verona. In Benin dove per una decina di anni la figlia suor Leda è stata maestra di formazione.
Daniele e Maria. Sono tuttora due elementi preziosi per Solidarietà Umana, sempre disponibili, sempre pronti, come sempre generosi.
Grazie Daniele! Grazie Maria!

Daniele e Maria il prossimo mese di Giugno saranno premiati dalla Cooperativa della Comunità di Villa S. Francesco a Feltre. Saranno insigniti del titolo “ I 10 giusti per il Mondo”.
E’ il giusto riconoscimento a quello che hanno dato e fatto. Complimenti.


Luciano Dalla Gassa


Damiano Lovato e e Luigi Dalla Gassa.



Bepi Furlato, precursore, organizzatore ed esecutore della missione di Safim.

Angelo, Daniele, Luciano, Damiano, Luigi e Bepi: hanno effettuato decine e decine di viaggi in missione, in tutto il mondo, ognuno con il suo bagaglio professionale e la sua peculiarità artigianale.


NON E’ NOSTALGIA Don Vittorio Montagna parroco di Chiampo-Nogarole-Alvese

Cinquant’anni di Solidarietà Umana. Anni pieni di vita, donata e ricevuta, vita piena di senso. Qualcuno, presente agli inizi, è ancora attivo, con il suo carico di anni, di esperienza, con lo stesso entusiasmo. Molti hanno già udito le consolanti parole del Giudice misericordioso: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare… Venite benedetti nel Regno del Padre mio…”. In quegli anni (siamo nel 1969) la società era in ebollizione: contestazioni, inizio di un terrorismo scellerato, voglia di cambiare il mondo e la Chiesa, parole senza fine, derive ideologiche, gruppi terzomondisti, diritti rivendicati (magari senza i relativi doveri), entusiasmi e delusioni, libertà gridata e praticata… In una parola: contestazione. Ricordo anch’io la tentazione e il rischio di essere risucchiato da una corrente che poi non sapevi dove ti avrebbe portato. Sembra passata un’epoca, anzi è passata un’epoca. Chi e che cosa è rimasto e continua vivo? Sono rimasti coloro che si sono rimboccati le maniche, coloro per i quali i poveri non erano un “discorso”, ma persone in carne e ossa da incontrare e amare, coloro che portavano nel cuore una fede viva nel Signore Gesù, coloro che hanno continuato ad amare la Chiesa e a viverci dentro, nutrendosi della grazia dei Sacramenti. SOLIDARIETA’ UMANA è rimasta perché è fatta di questa gente: uomini sodi, cristiani convinti, che non rincorrono gli incantatori di turno, ma guardano diritto al cuore del fratello.
Ricordo MOMI BEVILACQUA, uno dei fondatori di Solidarietà umana. L’ho conosciuto negli anni ’70 quando mi preparavo a partire per il Brasile: ricordo la sua parola schietta, la sua fede semplice, moderna e tradizionale insieme, fatta di Parola di Dio e di Rosari, la sua passione per l’uomo sofferente, la voglia irruente di fare tutto il possibile per migliorare il mondo… Momi allora era anche l’animatore instancabile del Movimento Laici per l’America Latina. Negli anni trascorsi in Brasile (1979-1985) le sue lettere mi raggiungevano puntuali diverse volte all’anno, per incoraggiarmi, per offrire sostegno e aiuto. Non conoscevo tutta la sua attività solidale e missionaria, ma oggi ne vedo i frutti. Lo sappiamo tutti: i frutti si consumano in fretta. L’albero grande di Solidarietà Umana ha bisogno di nuovi e giovani rami. E’ la sfida che gli amici dell’Associazione hanno ben presente e che certamente vogliono affrontare con tenace speranza. Non accenno neppure alle tante iniziative di Solidarietà Umana: ne parla diffusamente il presente opuscolo. A me è stato chiesto di raccontare qualcosa dei miei anni vissuti in Brasile. Lo faccio volentieri e in modo molto sintetico. Inizio con una premessa: non è c’è nulla di straordinario e tanto meno di eroico in quello che ho fatto. Sono tentato di dire che ci vuole più fede, più disponibilità, più spirito di sacrificio, più intelligenza e più cuore a “fare” il prete qui in Italia che non in America Latina. Avevo dato al vescovo la disponibilità a partire, per sostituire eventuali nostri preti che ritornavano in diocesi: c’era in me un certo volontarismo quasi sessantottino, ma in cuor mio speravo che il vescovo non accogliesse la domanda. E invece… Poi il Signore ha fatto il resto. Nel maggio 1979 parto con un amico, don Piero Melotto, un vero cuore missionario: lui si fermerà in Brasile tre anni più di me, e in seguito (dopo una breve parentesi in diocesi) andrà in Thailandia e inizierà la missione del Triveneto in quella terra. Dopo appena un mese dal mio arrivo mi ritrovo a essere parroco di Orizona, una parrocchia di 14.000 abitanti in diocesi di Ipamerì nel Centro-Ovest del Brasile, sparsa in un territorio grande come la provincia di Vicenza. Il portoghese lo balbetto appena, ma sono giovane e lo imparo in fretta. Generoso lo sono sempre stato. E così corro, predico, celebro, mi do da fare, costruisco case, soccorro tanti poveri… in compagnia di don Piero nei primi tre anni e poi da solo. Non c’è misura, e così mi ritrovo senza forze, letteralmente “esaurito”, come la mia Panda quando manca il carburante. Solo che, a differenza di un’auto, i segnali non ci sono: è come un ramo che si spezza all’improvviso. Tiro avanti con l’aiuto di medicine e poi, quando mi dicono che c’è un prete che verrà a sostituirmi, torno in diocesi. Da allora sono passati tanti anni. E mi stupisce che il legame non sia venuto meno. Con le nuove tecnologie i contatti si sono fatti più facili, e mediamente ogni giorno ricevo almeno un whatsapp da questo o quel parrocchiano di Orizona. Che cosa resta in me di quel tempo? Rimane tutto quello che ho vissuto anche se non so dirlo con parole adeguate. Qualcosa però provo a comunicare: – I poveri sono persone e non solo bocche da sfamare; vanno trattati con rispetto, ascoltando le loro sofferenze le loro gioie. – Là, come qui, quello che conta e che permette un annuncio di speranza è la relazione, e la relazione buona è fatta di gentilezza e accoglienza. – Il Signore e la sua Chiesa sono ovunque; la fedeltà al Signore e l’obbedienza alla Chiesa sono la prima opera missionaria. – Vedendo la fede semplice di quel popolo mi sono riconciliato con la pietà popolare, quella che è presente anche qui e che nutre tanti fedeli. – Il parroco è un pastore, non un addetto al culto o alla catechesi o alla carità, e come tale cammina (direbbe papa Francesco) davanti, in mezzo e dietro il suo popolo. – C’è di sicuro dell’altro, ma non ne ho chiara evidenza. Nei molti anni successivi all’esperienza brasiliana credo di aver vissuto esperienze e imparato cose non meno significative, per cui ripeto che l’eroismo di chi parte non va sovradimensionato, mentre la fatica di chi vive e opera nelle nostre parrocchie va maggiormente riconosciuta.


Il Sindaco di Chiampo Matteo Mailotti

I 50 anni di Solidarietà Umana sono un traguardo importantissimo per tutta la nostra Comunità. I risultati, l’impegno e la dedizione profusi, nel silenzio che caratterizza il volontariato più autentico, fanno di questa associazione, come delle molte altre attive a Chiampo, un vero e proprio orgoglio. Al di là di fedi religiose e di colori politici, nel nome di questa associazione sta il senso di un progetto immenso e meraviglioso…il nobile intento che dovrebbe animare le azioni di ognuno di noi, quello di porre al centro la persona umana, indipendentemente dalla sua provenienza, dall’etnia e da qualsiasi altro tratto che possa distinguere un uomo da un altro uomo. L’aiuto ai missionari e volontari in diverse parti del mondo è la funzione primaria che ha dato origine all’associazione, ma a questa negli anni se ne sono aggiunte molte altre, dalle adozioni a distanza al servizio del banco alimentare, in cui si fronteggia in modo efficace e concreto il problema della povertà nella nostra terra. Un grido, che seppur mesto e pacato, graffia le nostre coscienze di cristiani e di uomini. E ancora la preziosissima collaborazione con il Centro Aiuto alla vita, braccio operativo del Movimento per la Vita, che risponde in modo concreto alle necessità delle donne che vivono una gravidanza difficile o inattesa. La scelta della vita dunque, nelle lontane terre di missione e nella vicina Valle del Chiampo senza clamori o ricerca di ribalta o fama, con la volontà semplice ma pervicace di adoperare tutti i mezzi possibili affinché la parola solidarietà, non resti un concetto vuoto e privo di significato, ma si riempia della concretezza e della forza che tanti cuori generosi possono mettere in campo. Ecco dunque che passando davanti ai loro stand della pesca di beneficienza oppure assaggiando le deliziose frittelle che spesso troviamo presenti nelle nostre feste di piazza, e incontrando gli occhi dei volontari dietro al banco, ognuno di noi pensi al mondo che sta dietro ai loro gesti e decida, con il suo piccolo contributo, di esserne un piccolo ma prezioso tassello. Grazie, volontari di Solidarietà umana, per i vostri 50 anni di smisurato altruismo, per le battaglie combattute affinché l’essere umano sia sempre al centro delle scelte, e, di cuore, buon cammino…


QUANDO GESU’ ALZA LO SGUARDO Fra’ Gianpaolo Meneghini

Miei cari amici di “SOLIDARIETA’ UMANA”, quante cose può dire uno sguardo? Certo, ci sono diversi modi di guardare: già il fatto di essere o meno allo stesso livello, condiziona il tipo di relazione ed il modo di considerare il proprio interlocutore. Dire “alzare lo sguardo” su di una persona vuol dire porsi in una condizione di inferiorità e di modestia rispetto ad essa, innalzandone al contempo la dignità e la considerazione. Nei Vangeli ci sono diversi episodi in cui è Gesù ad alzare lo sguardo. Nel Vangelo di Luca, Gesù dice: “Beati i poveri, il Regno di Dio è per voi”. Ci stupiamo di questa audacia così provocatoria da parte di Gesù nel rivolgersi ai poveri chiamandoli beati. Questo si spiega con il fatto che è Lui ad alzare lo sguardo sui suoi discepoli, che sono poveri. Infatti, diversamente dal racconto di Matteo, Gesù non parla dall’alto della montagna, ma ne è sceso, si ferma in piano e guarda i discepoli prima di parlare. Anzi, non li guarda, ma “alza lo sguardo verso di loro”. È importante notare che l’Evangelista Luca precisa che Gesù è in piano, e poi alza lo sguardo verso i discepoli; Gesù si mette in posizione di dipendenza, è il più piccolo, colui che può guardare solo alzando lo sguardo. Ripensiamo a quando nelle vie dei nostri paesi e più ancora in Africa passiamo davanti ad un povero, seduto per terra. Se osiamo guardarlo, ed egli ricambia lo sguardo, chiediamoci: chi dei due alza lo sguardo verso l’altro? È il povero, tra i due, a trovarsi più in basso. Questo piccolo esempio è sufficiente per capire perché Gesù sia il povero quando alza lo sguardo verso i suoi discepoli e annuncia loro la vera beatitudine scegliendo la posizione del “più basso”, di povertà. Infatti, si permette di parlare di beatitudine ai suoi prediletti, cioè ai poveri. E chi può parlare di beatitudine ai poveri se non colui che è egli stesso povero e vi trova la piena beatitudine? E Gesù, figlio di Dio, nella sua incarnazione non è forse l’uomo più povero e il più beato? Come dice San Paolo:” È divenuto simile agli uomini…si è abbassato divenendo obbediente fino a morire sulla croce”. E al momento di entrare nella sua passione, come ci dice Giovanni, Gesù di nuovo alza lo sguardo. Ma è a suo Padre che è rivolto per rendergli grazie e rivelarci che la gloria gli verrà dal passaggio attraverso la passione e la morte sulla croce. Infine, il suo ultimo sguardo è ancora rivolto al Padre quando sulla croce grida: “Padre, rimetto la mia anima tra le tue mani”. Tutti noi che abbiamo viaggiato in Africa e in altri luoghi di missione e che preghiamo per i poveri dei vari continenti, riflettiamo sul modo in cui guardiamo i poveri quando alzano lo sguardo verso di noi; soprattutto, non dimentichiamo che nel momento in cui alzano lo sguardo su di noi, essi sono l’immagine di Cristo che ci parla di povertà e beatitudine. Con queste parole, desidero ringraziare l’Associazione Solidarietà Umana per aver contribuito alla realizzazione di diversi progetti per le nostre missioni. Non può mancare la riconoscenza a tutti i volontari che sono scesi nelle missioni della Guinea Bissau, rendendo testimonianza sul lavoro e nella preghiera. Un particolare ringraziamento va ad Angelo Culpo, ora nella gloria del Signore, per il prezioso lavoro di piastrellista, svolto con tanto entusiasmo: Dio lo ricolmi di ogni bene. Grazie di cuore anche a Daniele Pieropan, dell’Ordine Francescano Secolare, altro eccellente piastrellista, che con la moglie Maria, ha collaborato con dedizione, competenza e sensibilità a diversi progetti in Guinea Bissau.